IL CASO

A cura di:

  • 30/05/2023

    ​Con la presente analisi si commenta l’ulteriore tappa di una nota vicenda processuale, in sede penale, i cui esiti giurisprudenziali pongono degli interrogativi sulla questione dell’allocazione delle responsabilità nell’ambito del gruppo di imprese. Quest’ultimo costituisce, com’è noto, il modello organizzativo tipico della medio-grande impresa, nel quale le diverse società svolgono le proprie attività in una logica economico - imprenditoriale unitaria, pur mantenendo ciascuna la propria autonomia giuridica e decisionale e doveri propri nei confronti dei soci e dei terzi. I fatti sono quelli relativi all’incidente ferroviario di Viareggio del 2009, per il quale furono coinvolte in giudizio diverse società del gruppo Ferrovie dello Stato e i loro vertici. Sulla questione la Corte d’Appello di Firenze è stata chiamata a pronunciarsi in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione per accertare alcuni specifici profili di colpa ascritti agli imputati. Dall’esame delle ultime due sentenze sul caso in questione – Corte di Cassazione, sentenza n. 32899 dell’8 gennaio 2021 e Corte d’Appello di Firenze in sede di rinvio, sentenza n. 2719 del 20 settembre 2022 – emerge una ricostruzione della responsabilità per i reati colposi di evento che appare incompatibile con il principio di correlazione tra poteri, doveri e responsabilità all’interno delle organizzazioni complesse. L’esito di tale ricostruzione è l’attribuzione di una responsabilità per colpa generica in capo a tutti i vertici delle diverse società del gruppo, sino a risalire all’amministratore delegato della capogruppo, mentre si esclude la responsabilità delle figure che all’interno dell’organizzazione aziendale erano deputate a presidiare lo specifico rischio oggetto di causa e adottare le specifiche misure cautelari idonee ad evitare l’evento. Ne deriva un’astrazione della responsabilità e una sua risalita verso l’alto, che conduce ad affermare sempre la responsabilità dei vertici societari, inclusa quella dell’amministratore delegato della capogruppo, per qualunque fatto di reato si verifichi all’interno di una società controllata, mancando di cogliere come realmente si atteggiano i poteri e i compiti (strategici) degli amministratori nelle organizzazioni complesse e quale sia la sostanza della gestione del gruppo societario, fino a pregiudicare, nel pieno dell’era dell’organizzazione, la stessa funzione di prevenzione della compliance alle discipline settoriali. Le criticità delle due sentenze riguardano l’applicazione dei principi generali della colpa a una fattispecie che si caratterizza per una elevata frammentazione di ruoli, competenze e nessi causali e che si confronta con il tema della gestione del rischio all’interno di organizzazioni complesse, nelle quali la procedimentalizzazione dell’attività e dei ruoli è finalizzata da un lato alla individuazione delle concrete responsabilità, dall’altro alla prevenzione. Questi aspetti che hanno caratterizzato le riforme societarie in tema di controlli, responsabilità e gestione del rischio degli ultimi venti anni, e sono stati recepiti anche dai più recenti approdi della giurisprudenza penale in materia di responsabilità dell’impresa (sentenze della Cassazione ThyssenKrupp e Impregilo), vengono disattesi dalle pronunce che qui si commentano, aprendo la via a un sistema bifronte di attribuzione delle responsabilità per i rischi d’impresa. 


    Il Caso è liberamente consultabile.

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