Con la presente analisi si commenta l’ulteriore tappa di una nota vicenda processuale,
in sede penale, i cui esiti giurisprudenziali pongono degli interrogativi sulla questione
dell’allocazione delle responsabilità nell’ambito del gruppo di imprese. Quest’ultimo
costituisce, com’è noto, il modello organizzativo tipico della medio-grande impresa, nel
quale le diverse società svolgono le proprie attività in una logica economico - imprenditoriale unitaria, pur mantenendo ciascuna la propria autonomia giuridica e
decisionale e doveri propri nei confronti dei soci e dei terzi.
I fatti sono quelli relativi all’incidente ferroviario di Viareggio del 2009, per il quale
furono coinvolte in giudizio diverse società del gruppo Ferrovie dello Stato e i loro
vertici. Sulla questione la Corte d’Appello di Firenze è stata chiamata a pronunciarsi in
sede di rinvio dalla Corte di Cassazione per accertare alcuni specifici profili di colpa
ascritti agli imputati.
Dall’esame delle ultime due sentenze sul caso in questione – Corte di Cassazione,
sentenza n. 32899 dell’8 gennaio 2021 e Corte d’Appello di Firenze in sede di rinvio,
sentenza n. 2719 del 20 settembre 2022 – emerge una ricostruzione della
responsabilità per i reati colposi di evento che appare incompatibile con il principio di
correlazione tra poteri, doveri e responsabilità all’interno delle organizzazioni
complesse. L’esito di tale ricostruzione è l’attribuzione di una responsabilità per colpa
generica in capo a tutti i vertici delle diverse società del gruppo, sino a risalire
all’amministratore delegato della capogruppo, mentre si esclude la responsabilità delle
figure che all’interno dell’organizzazione aziendale erano deputate a presidiare lo
specifico rischio oggetto di causa e adottare le specifiche misure cautelari idonee ad
evitare l’evento.
Ne deriva un’astrazione della responsabilità e una sua risalita verso l’alto, che conduce
ad affermare sempre la responsabilità dei vertici societari, inclusa quella
dell’amministratore delegato della capogruppo, per qualunque fatto di reato si verifichi
all’interno di una società controllata, mancando di cogliere come realmente si
atteggiano i poteri e i compiti (strategici) degli amministratori nelle organizzazioni
complesse e quale sia la sostanza della gestione del gruppo societario, fino a
pregiudicare, nel pieno dell’era dell’organizzazione, la stessa funzione di prevenzione
della compliance alle discipline settoriali.
Le criticità delle due sentenze riguardano l’applicazione dei principi generali della colpa
a una fattispecie che si caratterizza per una elevata frammentazione di ruoli,
competenze e nessi causali e che si confronta con il tema della gestione del rischio all’interno di organizzazioni complesse, nelle quali la procedimentalizzazione
dell’attività e dei ruoli è finalizzata da un lato alla individuazione delle concrete
responsabilità, dall’altro alla prevenzione. Questi aspetti che hanno caratterizzato le
riforme societarie in tema di controlli, responsabilità e gestione del rischio degli ultimi
venti anni, e sono stati recepiti anche dai più recenti approdi della giurisprudenza
penale in materia di responsabilità dell’impresa (sentenze della Cassazione
ThyssenKrupp e Impregilo), vengono disattesi dalle pronunce che qui si commentano,
aprendo la via a un sistema bifronte di attribuzione delle responsabilità per i rischi
d’impresa.
Il Caso è liberamente consultabile.