Con la sentenza n. 3733 del 16 dicembre 2019 la Corte d'appello di Firenze – riformando sul punto la sentenza di primo grado – ha riconosciuto la responsabilità penale dell'amministratore delegato di una società capogruppo per la mancata adozione delle cautele necessarie ad evitare un grave evento dannoso (il disastro ferroviario di Viareggio), il quale, nella ricostruzione della decisione, è stato la conseguenza di un illecito imputabile in via diretta alle società proprietarie del carro merci deragliato e alle società appaltatrici dei servizi di manutenzione e, in via indiretta, alle società controllate dalla capogruppo che non avevano adeguatamente vigilato sul rispetto delle regole di sicurezza nella circolazione ferroviaria.
Secondo la Corte d'appello, l'esercizio di una forte interferenza nella gestione delle società controllate da parte della holding, attraverso una serie di atti di indirizzo e controllo, determina l'assunzione in capo a quest'ultima e ai suoi vertici di una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell'articolo 40, comma 2 del Codice penale. Inoltre, nel caso di specie, la Corte riconosce una seconda posizione di garanzia in capo all'amministratore delegato della capogruppo, ritenuto amministratore di fatto delle società controllate, e per questa via responsabile per tutte le condotte omissive imputate alle società controllate.
Questa ricostruzione del piano delle responsabilità nell'ambito di un gruppo di imprese presenta molti vizi di ragionamento, che il caso in esame intende affrontare. Un primo limite della pronuncia, per gli aspetti di principio rilevanti, riguarda l'aver ricondotto gli indici tipici del legittimo esercizio dell'attività di direzione e coordinamento ad una situazione di amministrazione di fatto, da cui derivare la responsabilità dell'amministratore delegato della società capogruppo. Una seconda incongruenza nel ragionamento della Corte si rinviene nella ricostruzione delle posizioni di garanzia in capo all'amministratore delegato della capogruppo, sulla base di un asserito ruolo di amministratore di fatto delle società controllate, non supportato da coerenti presupposti giuridici come richiesti, da dottrina e giurisprudenza, per aversi tale qualifica.
Oltre alle molte criticità sotto il profilo del diritto societario, la sentenza non appare tenere nel conto dovuto le recenti acquisizioni del diritto penale dell'impresa, nell'ambito della prevenzione e gestione dei rischi. L'affermazione di una posizione di garanzia presuppone oggi, alla luce dell'evoluzione del sistema dei controlli societari e delle diverse discipline prevenzionistiche da cui discendono obblighi organizzativi per l'impresa, una necessaria correlazione tra potere effettivo e responsabilità della gestione di un'area di rischio. Questi principi, che si sono affermati nell'ordinamento italiano a partire dalla disciplina dettata dal decreto legislativo n. 231 del 2001, dalla riforma del diritto societario del 2003 e dalle molte discipline specialistiche volte ad attenuare i rischi attraverso la prevenzione nell'impresa – ad esempio in materia di sicurezza sul lavoro, reati ambientali, contrasto all'illegalità – hanno inteso proprio ricondurre la responsabilità penale soltanto in capo a chi si trova nella posizione di poter effettivamente prevenire o impedire l'illecito all'interno dell'organizzazione, evitando l'affermazione di forme di responsabilità oggettiva per il solo fatto di ricoprire un ruolo apicale all'interno del gruppo, al fine di garantire in modo efficace la massima tutela del bene rilevante.
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