Assonime pubblica l'articolo che il Direttore Generale Stefano Micossi ha scritto per il sito InPiù.
Oggi il Consiglio europeo cerca una difficile intesa sulle risorse e sulla loro distribuzione
Oggi al Consiglio europeo si recita a soggetto sul bilancio pluriennale dell'Unione europea. Il neo-presidente Michel ha convocato una riunione straordinaria per avvicinare le posizioni - certamente non per un accordo, che ancora appare ben lontano (come si sa, il negoziato deve concludersi entro l'anno, dato che il nuovo periodo settennale inizia nel 2021). Quel che rende il negoziato particolarmente impervio è il fatto che l'uscita del Regno Unito implica una riduzione in valore assoluto del bilancio comunitario settennale di circa 75 miliardi (cifra che circola a Bruxelles tra gli ambasciatori; il Financial Times stima la riduzione in 60 miliardi). Dunque, il solito negoziato sulle percentuali - quanto il totale delle risorse in rapporto al Pil comunitario, quanto alla coesione, quanto all'agricoltura - implica minori risorse totali da spendere in valore assoluto.
Il Parlamento europeo ha cercato di scavalcare il problema proponendo di portare le risorse totali all'1,3% del Pil comunitario dell'Ue a 27, il Consiglio cerca da tempo un compromesso al di sotto dell'1,1%, i paesi nordici e la Germania non vogliono salire sopra l'1%. Due ulteriori questioni riguardano i cd. "rebates", cioè le correzioni per ridurre i saldi netti creditori. Il rebate più importante era quello conquistato dalla Thatcher negli anni Ottanta per il Regno Unito; logica vorrebbe che, con l'uscita di quel paese, ora il meccanismo fosse abolito. Ma nel frattempo altri rebates sono stati concessi e i paesi beneficiari vogliono tenerseli. Si potrebbe superare il problema semplificando il sistema e prevedendo una formula generale per la determinazione dei contributi netti al bilancio comunitario in funzione del Pil (e magari qualche altra variabile), come commentatori avvertiti hanno proposto da tempo; ma il tema non è in discussione al Consiglio.
Infine, ma non meno importante, bisogna spartirsi le risorse. Agricoltura, coesione, ricerca, transition fund per il climate deal (soprattutto destinato ai paesi dell'est europeo, che di risparmio energetico finora ne hanno fatto ben poco). La discussione è complicata dal fatto che - come ogni volta - si cambiano i titoli delle rubriche per dare il segno dell'adattamento alle nuove priorità; ma l'esperienza insegna che resta comunque una notevole inerzia nei programmi, che possono evolvere lentamente. Resta che la nuova priorità del climate deal implica cambiamenti significativi nel contenuto dei programmi di spesa, anch'essi fonte di resistenze e complicati trade off. Nel complesso, ci troveremo molto probabilmente con un bilancio più o meno della stessa dimensione, forse con una migliore composizione e comunque ancora troppo piccolo per rivelarsi veramente incisivo.