Negli ultimi anni, il sistema fiscale italiano ha subìto una significativa erosione delle basi imponibili dei diversi tributi. Interventi normativi continui e asistematici hanno prodotto un sistema fiscale poroso, distorsivo e instabile, che ha perso competitività ed efficienza.
Ogni proposta di riordino del sistema fiscale oggi deve partire dallo stato del bilancio pubblico che ha spazi di manovra limitatissimi. Un riequilibrio dei carichi fiscali a favore delle imprese e del lavoro non può che derivare dalla revisione dei bonus e dei recenti aumenti di spesa corrente (quota cento e reddito di cittadinanza) e dall'aumento dell'Iva.
Per l'Iva si potrebbe prevedere un obiettivo di aumento del gettito nell'ordine dei 10 miliardi di euro, ottenuto sia attraverso l'eventuale aumento di alcune aliquote sia attraverso la riallocazione di beni e servizi tra le diverse aliquote. Questi interventi servirebbero anche a semplificare e razionalizzare il sistema applicativo dell'Iva. Le risorse così ottenute potrebbero essere destinate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi sulle imprese.
Quanto all'Irpef, essa ha da tempo perduto le sue originarie caratteristiche di imposta progressiva sul reddito complessivo e presenta oggi elementi di iniquità dovuti all'esistenza di molteplici trattamenti differenziati. Il riordino dell'Irpef passa inevitabilmente per una revisione delle tax expenditures che consentirebbe una semplificazione e razionalizzazione delle aliquote.
Per l'Ires, l'esigenza di affermare criteri di semplicità e neutralità impone di intervenire su deduzioni e dei crediti di imposta, limitandoli a obiettivi chiari e normativamente predeterminati (essenzialmente ricerca e sviluppo, innovazione, efficienza ambientale). L'Assonime propone da tempo l'introduzione di un plafond unico di spese deducibili, determinato in percentuale del reddito, in relazione al quale ciascuna impresa potrebbe scegliere le spese da dedurre tra quelle previste in base a obiettivi normativamente predeterminati.
Sarebbe inoltre auspicabile ancorare più saldamente la tassazione del reddito d'impresa al bilancio civilistico, abbandonando il meccanismo delle "variazioni fiscali" contrattate di anno in anno in sede di legge di bilancio. In prospettiva, si può riflettere sulla possibilità di far evolvere il sistema verso modalità più immediate di misurazione della ricchezza prodotta dalle imprese rispetto all'utile di bilancio: una soluzione in tal senso potrebbe essere quella di tassare le imprese direttamente sui flussi di cassa, più facili da rintracciare e più difficili da manipolare rispetto all'utile.
L'obiettivo della neutralità richiede che tutti i frutti del capitale – attività finanziarie, immobili, dividendi, reddito di imprese, titoli di stato, ecc. – siano tassati con la stessa aliquota, idealmente intorno al 20%.
Infine, una seria revisione del sistema fiscale rende indispensabile un cambiamento di impostazione culturale nel processo di formazione delle leggi: contribuenti e operatori economici hanno bisogno di un sistema fiscale affidabile e stabile nel tempo. L'incertezza sul fronte fiscale è quel che più di ogni altra cosa frena la crescita economica, veicolando altrove investimenti nazionali ed esteri.